NEL DOGADO VENEZIANO
Nel periodo veneziano (1405/1796) i Conti di Serego promuovevano migliorie e nuove
piantagioni come il riso e la vite, che rendevano il Distretto del Fiumenovo un
territorio ambito da quei nobili che si erano trasformati imprenditori agricoli.
Che i Serego fossero amanti del vino lo dimostra la fitta corrispondenza con i fattori,
in cui si accenna spesso alla preziosità di questo prodotto. Qualche esempio sarà
sufficiente per far comprendere come ormai le uve delle sabbie fossero diventate
pregiato alimento per le tavole dei signori, ma anche per i lavoratori della terra.
Il 4 settembre 1527, il Conte Alberto Serego si rivolgeva al suo fattore Nicolò
a Cucca (Veronella) per invitarlo ad aver cura della campagna “a ciò l’uva non sia
robata”.
Scriveva ancora: ”Non vi scordate di tenere l’uva da fare el vin coto et il sapore
d’uva”. E il 5 gennaio 1528: ”Mandati anchora uno vezodeto de vino coto et uno pitarelo
di sapore d’uva”.
Le viti erano tenute in grande considerazione sia dalla Repubblica di Venezia che
dai rettori delle città come attestano le “Regule” di Cologna Veneta risalenti al
1432 e poi confluite nello Statuto del 1593.
Durante il dominio veneziano, il Colognese ha saputo godere della presenza attiva
di una sessantina di famiglie nobili, che con il sistema delle seriole seppero sfruttare
l’abbondanza d’acqua che i fiumi fornivano per dissodare terreni abbandonati e trasformarli
in terreni arativi, vitati e seminativi. Costruivano in tutto il territorio ville,
palazzi e fattorie, che rappresentano ancora oggi il vero volto architettonico di
una agricoltura, che aveva nelle “corti” i propri centri pulsanti.
Il Colognese è stato, per la Repubblica Veneziana, una terra prediletta: quel Dogado,
strettamente legato alla città lagunare, forniva in abbondanza vino, granaglie e
canapa, di cui i veneziani non potevano fare a meno.
È il Settecento, il grande secolo delle Accademie, ma molte di queste, compresa
quella di Cologna dei “Riposti”, venivano spazzate via dalla ventata rivoluzionaria
di Napoleone. Tuttavia quella di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona sopravviverà
e costituirà certamente una forza trainante per il rinnovamento dell’agricoltura
e, in particolare, per la piantagione e la coltura della vite anche in questo territorio.